Nel mondo dello sport di medio livello parlare di investimenti di marketing è difficile e lo era già prima che l'esposizione alla crisi economica globale rallentasse la spinta all'investire. C'era una volta quella sponsorizzazione sportiva legata al concetto di associazionismo e fondata sulla filantropìa, che sosteneva senza promuovere e contribuiva senza parametrarsi al ritorno mediatico d'immagine. Un tipo di sponsorizzazione che nasceva da un'esigenza contingente e specifica del piccolo medio club sportivo, come la necessità di dotarsi di nuove attrezzature per l'allenamento o di nuove divise societarie per "vestire" i propri atleti nelle competizioni e manifestazioni nazionali: sarà sufficiente richiamare qualche ricordo d'infanzia, per rivivere l'esperienza di quando, prima di una gara nazionale, l'allenatore o il presidente del club, consegnava a tutti gli atleti le nuove divise da portare in gara, dono della benevolenza di quello o di quell'altro sponsor. E non occorre certamente dire che l'impulso alla sponsorizzazione, in questa realtà, nasceva dall'interno, dalla stretta cerchia di persone e conoscenze che in qualche modo avevano a che fare con il club e decidevano di compiere un piccolo ma significativo gesto, dando il proprio contributo alla soluzione di un problema.
Una pratica che non si basava sul rendiconto economico o sull'investimento di capitale finalizzato ad un ritorno d'immagine, ma sulla concretezza del rispondere ad un bisogno di quel club cui servivano le divise sociali per "vestirsi bene" nelle occasioni importanti, solo 50-100 pezzi, ma pur sempre un costo sensibile per la piccola economia di una società sportiva di medio livello, affrontato con i criteri di un'economia del baratto post-litteram, che legava la memoria del nome dello "sponsor" alla concretezza del dare un contributo tangibile, ovvero fondava sul ricordo di quella benevolenza il buon nome del marchio, che spesso coincideva con il nome del suo titolare e benefattore.
Oggi la sponsorizzazione sportiva, nei casi più fortunati -ovvero laddove una vera sponsorizzazione esista ancora- si gioca su parametri diversi: fondi, che possono essere investiti dal club per l'acquisto delle divise, tanto quanto per altro, purché siano fondi per il club ed investimento di marketing per lo sponsor.
La società sportiva opera sempre più come un'azienda, con una pianificazione della spesa calcolata, attingendo ai propri fondi, anche derivanti dalle sponsorizzazioni, per le spese di cui necessita. Non c'è spazio per l'estemporaneità di un problema contingente. "Servono le divise" deve essere una voce del piano di bilancio. Nessuno sponsor pagherà in divise o attrezzature, ma semmai in fondi per acquistarle, a fronte dell'esposizione del proprio marchio. E quelle divise, anche se cedute agli atleti a prezzo di mercato, costituiranno un costo alla voce di bilancio "acquisto nuove divise", un costo che dovrà essere compensato e pareggiato alla voce "introiti vendita nuove divise", poiché il contributo di uno sponsor in termini di fondi, non potrà essere sufficiente ad equilibrare la spesa, che avviene ai prezzi di mercato, poiché essa si colloca al di fuori della sponsorizzazione, che si basa unicamente sulla corresponsione di fondi a fronte dell'esposizione del marchio di chi sponsorizza.
Il motore che muove la sponsorizzazione di oggi, dunque, è diverso da quello di ieri: non più il ricordo di un bel gesto quale chiave qualificante per promuovere un marchio, ma l'esposizione del marchio nell'ambito di un piano di comunicazione strategica; non più il risolvere un problema, ma l'usare un problema, la necessità di un club di avere nuove divise sociali, per promuovere il proprio marchio.
La Società sportiva è in cerca di fondi da investire nell'economia gestionale dei propri bisogni o problemi e lo sponsor non fornisce soluzioni ai problemi, ma fondi per risolverli. Si è persa la connotazione più umana, diventando la sponsorizzazione una voce di bilancio senza più badare al significato del gesto insito nella soluzione di un problema. Nella trasformazione che vede sempre di più il club sportivo doversi considerare come azienda, che offre un servizio e produce un risultato, non c'è spazio per la filantropia.
Alla fine della stagione, un club potrà aver incamerato diverse sponsorizzazioni, esposto diversi marchi, anche sulle divise sociali, ma se avrà risolto il problema "servono le divise" comprandole, non sarà grazie allo sponsor, bensì grazie alla sua gestione oculata dei fondi provenienti dagli sponsors la cui immagine si è diffusa anche grazie all'esposizione del marchio su quelle divise comprate dalla società.
Quale azienda produttrice di qualsivoglia settore, chiederebbe un aiuto in forma di investimento economico ad un marchio appartenente ad un settore produttivo del tutto diverso, per comprare nuovi macchinari o assumere nuovo personale, anziché rivolgersi ad una banca? Quale azienda, benché di un settore produttivo diverso, comprerebbe per un'altra azienda le macchine per la produzione, solo sulla base di uno scambio di favori da scrivere nella memoria collettiva dei dipendenti che ne trarranno beneficio? Operazioni di mercato di questo tipo, di associazione di marchi diversi, oltre che riguardare realtà economiche di ben più alto rilievo, si basano comunque sempre su operazioni di promozione del brand finalizzate ad un ritorno collettivo di immagine per le aziende coinvolte: e non può essere questo il caso del fenomeno sportivo, se non nell'altissimo livello, per partner commerciali di altrettanta solidità economica.
La nuova condizione della sponsorizzazione sportiva si inquadra ormai pienamente nelle strategie di marketing di ogni altro settore produttivo creando un problema non da poco nelle realtà sportive che non siano più che di altissimo livello o che non appartengano a quei contesti sportivi che attraggono grandi percentuali di audience. Nel mondo globale, naturalmente, non basta ben figurare nell'attività nazionale, non bastano i risultati di eccellenza a livello regionale, per garantirsi l'attenzione degli sponsors. Perché per quanto il club possa distinguersi per risultati sportivi e solidità sul territorio, il suo campo di visibilità risulterà sempre troppo poco interessante per uno sponsor le cui finalità sono nel ritorno di immagine, che richiede al giorno d'oggi un'esposizione pubblicitaria se non di livello televisivo, accontentandosi delle emittenti a copertura locale, almeno "di livello". E non è facile definire a cosa corrisponda questo "livello", nell'epoca del bombardamento mediatico, che rende difficile "fissare" la memoria di un marchio, laddove l'acquisto è possibile via internet anche a chilometri di distanza e l'eccellenza del negozio che abbiamo sotto casa o a un isolato di distanza, spesso ci resta ignota. Ciò che conta è distinguersi, e solo un club che si distingue, non solo coi risultati sportivi, può essere appetibile per uno sponsor.
Scherma Desio ha scelto per questo una politica diversa per il proprio brand: non la ricerca di uno o più sponsors, ma la riconquista di un ruolo di centralità nel rapporto con lo sponsor, quale attore della soluzione di un problema, unica molla, secondo noi, che solidifica il marchio, prima che l'esposizione sui giornali attraverso i successi dei nostri atleti.
Abbiamo cercato, valutato e accuratamente selezionato alcuni fornitori per le aree strategiche dell'abbigliamento sportivo ed accessori, che rappresentano il brand di un club, perché accompagnano l'atleta in gara e fuori dalla gara; nessun rapporto di sponsorizzazione, nessun vincolo, nessun contratto e nessun investimento richiesto. Neppure l'esposizione del marchio. Solo la nostra scelta, come certificazione della qualità Scherma Desio attribuita a quel fornitore, verso il quale indirizziamo nuovi potenziali clienti.
Siamo usciti dall'ottica dell'acquisto societario, individualizzandolo: non più 100 divise comprate e poi rivendute ai nostri atleti, ma 100 atleti che si rivolgono al fornitore che abbiamo accuratamente selezionato per produrre per le nostre divise.
Abbiamo scelto dal catalogo di diversi fornitori, rigorosamente piccole medie imprese locali collocate nel nostro territorio, alcuni prodotti di qualità superiore, li abbiamo brandizzati con il logo Scherma Desio, che li rende una scelta esclusiva di appartenenza al marchio. Li abbiamo fatti conoscere al cliente, attraverso l'esigenza che l'atleta ha, di vestire la divisa del club o di dotarsi degli accessori che connotano la sua appartenenza al club.
E da questo siamo partiti, per ricollocare il nostro concetto di sponsorizzazione.