Il drop-out: malattia di settembre

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dropoutNel mondo dello sport il fenomeno del drop-out, ovvero dell’abbandono dell’attività sportiva in età giovanile, è ben noto e si intensifica tradizionalmente nel mese di settembre, quando dopo la pausa estiva le palestre si confrontano con la conta degli atleti che rientrano e di quelli che dichiarano di voler smettere l’attività.
Diverse ricerche testimoniano che circa il 20% dei maschi e il 40% delle femmine interrompe prematuramente la pratica sportiva agonistica, nella fascia d’età più a rischio che è quella tra i 15 e i 18 anni.
Se in parte si tratta di un fenomeno  “fisiologico”, con l’inevitabile progressivo mutamento di interessi e priorità nella vita dei giovani, dall’altra parte risulta chiaro come la struttura sociale ed il tessuto sportivo in genere risultino inadeguati a fronteggiare l’abbandono in età adolescenziale. I motivi basilari della scelta di abbandonare l’attività sportiva sembrano essere  la difficoltà di conciliare l’impegno scolastico e la pratica sportiva, una diminuzione dell’autostima con l’insorgere di fenomeni di ansia da risultato, noia e monotonia dell’allenamento, difficoltà di coesione con il gruppo e nel rapporto allenatore-atleta. Questioni, le prime, che riguardano il cronico antagonismo tra Scuola e Sport, mezzi formativi che proprio non ne vogliono sapere di andare d’accordo e, le seconde, i modelli sociali che portano i più giovani a non riconoscersi nel desiderio di sfida e nella curiosità che sono la base della motivazione sportiva.
Nonostante siano diverse le ricette presentate come vincenti per combattere e diminuire le cause che portano al drop-out, nessuno dei fattori scatenanti può essere “combattuto” a tavolino senza che vi sia una motivazione intrinseca forte a supportare l’individuo nell’intento di proseguire. La fiducia in se stessi è l’unica vera chiave della motivazione e questa nasce da dentro. Ogni input ricevuto dall’esterno della persona, per esempio dall’allenatore, dai compagni, o dalla famiglia, non è sufficiente, da solo, ad instaurare una dinamica di rinforzo positivo della motivazione. Sta in questo il limite di ogni strategia che un Club o un’Istituzione può adottare nel combattere il drop-out, poiché laddove la scelta dell’atleta di continuare è legata maggiormente al bisogno di raggiungere un’approvazione esterna piuttosto che alla soddisfazione di un bisogno individuale che scaturisce dall’interno, l’abbandono è un rischio che si annida dietro l’angolo al primo cambiare del vento ed alla prima difficoltà o sconfitta. A settembre, poi, il confronto con la pausa estiva foriera di scarico e vacanze, rende ancor più difficile la ripresa in situazioni organizzate come Scuola ed attività sportiva, che vengono percepite come “antagoniste” della libertà sperimentata nel corso delle vacanze.
Tuttavia una soluzione c’è e passa dal saper riscoprire  e richiamare le sensazioni positive legate all’allenamento, da punto di vista biochimico, con lo sviluppo di quelle endorfine che rendono la pratica sportiva piacevole fino ad essere indispensabile all’individuo. Una strada che ciascuno deve ricercare in se stesso come ausilio alla propria motivazione intrinseca dettata dalla volontà di successo e di sfida che anima lo sportivo, per riuscire semplicemente a rendersi conto che, al di là di ogni teoria e ragionamento, l’unico motivo valido per riprendere l’attività sportiva è che “lo sport fa stare meglio”.
di Alberto Bernacchi