Lo sport libera la mente?

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Lo sentiamo dire spesso: <<fare sport mi aiuta a liberare la mente>>. Professionisti, manager e casalinghe, tutti accomunati dalla spasmodica ricerca di un angolo di pace, rifugio dalla frenesia della vita quotidiana. Lo sport, quindi, genericamente inteso come jogging al parco, una nuotata in piscina o la biciclettata della domenica, visto come strumento di evasione, mens sana in corpore sano. Ma sarà proprio questo il vero significato del detto latino? Per i Greci, che di sport se ne intendevano e che i Latini in fondo li hanno ispirati, era kalòs kai agathòs, il senso ultimo e più vero dell’ideale olimpico, arrivato fino ai giorni nostri attraverso le illuminate idee del controverso De Cubertin.

Lo sport dai più oggi misinteso come wellness non è altro che lo stare bene e il condurre uno stile di vita salutare, contrario alla sedentarietà cui ci vincola la società dei consumi: un rimedio sociale importante, ma sarà sufficiente questo per definire “sportivi” noi stessi e i nostri figli? Lo sport -quello vero- è confronto, non importa se con un avversario o con se stessi. Gareggiare per ottenere un premio, la soddisfazione di aver attraversato un limite, conquistato un traguardo, di essersi messi in gioco mettendosi in discussione. Certo questa è una visione dello sport molto lontana dal “liberare la mente”, anzi la mente in questo caso è messa sotto stress: obbiettivi, risultati, analisi, target e focalizzazione, un lavoro insomma, altro che pausa dalla routine. Lo sport costruisce la mente, non la libera; non è fatica, è sacrificio per ottenere un premio, ben lontano dal faticare unicamente per lo stare in forma, con la mente che fugge e il corpo che indulge in un benessere fisico separato da quello mentale. La soddisfazione dello sportivo non è tornare a casa con qualche etto di materia in meno o con un fisico modellato e con una mente scarica dai pensieri quotidiani, bensì tornare con una performance che costituisce fiducia e chiarezza in se stessi, anche da ultimi, ma da ultimi che vogliono arrivare primi. Perché se l’importante non è vincere, è partecipare da sportivi, sapendo che ogni caduta è un motivo per rialzarsi più in fretta e meglio degli altri.

Si assiste sempre di più, anche nelle giovani generazioni, alla sistematica fuga dall’agonismo, per abbracciare filosofie di wellness che riducono il fenomeno sportivo ad una mera imitazione dei campioni, senza costrutto vero e senza utilità alcuna nella formazione della mente. Mente libera da una parte e sacrificio dell’agonismo dall’altra si affrontano in una sfida dei giorni nostri, dove avere al polso un braccialetto contapassi ci fa dire di essere sportivi: ma le due cose non possono proprio coesistere? Lo sportivo di qualunque livello sa che nello stato migliore della performance, quello che ti capita solo quando fai sport con la mente libera e non perché fai sport per liberarla, -quello stato che gli esperti chiamano flow-, tutto quello che vivi succede naturalmente, nella condizione mentale più appagante e consolidante che esista, poiché è un’esperienza che permane e che non si esaurisce all’uscita dalla palestra per farti ripiombare nella routine quotidiana. Ed è in questo che lo sportivo, quello vero, quello che conosce l’agonismo al di là del wellness, ha una marcia in più di tutti gli altri: ha lavorato per liberare la mente rendendola più forte, allenando la sua capacità di resilienza e la sua resistenza alle difficoltà. Non ha scaricato i suoi pensieri per un momento, ma ne ha preso il controllo per sempre. In tutto questo la condizione fisica di wellness è funzionale alla performance, conseguenza immediata e necessaria cui il corpo si adatta per sostenere la mente. Ed è così che sport e wellness possono coesistere, come due facce della stessa medaglia, purché ad una medaglia si ambisca attraverso il confronto.

Gli sportivi non saranno mai automi che pedalano davanti ad un timer, che regola i loro momenti di quiete dallo stress quotidiano. Gli sportivi, che lo siano anche solo un giorno alla settimana, sono quelli che non temono alcuno stress, perché sono agonisti affamati del premio, abituati a battere se stessi e i propri limiti ogni giorno.

di Alberto Bernacchi