L'infortunio fisico e l'infortunio psicologico

infortunio3Quando pensiamo all'infortunio, siamo abituati a pensare all'infortunio che colpisce il campione sportivo sul piano fisico: un ginocchio che cede, uno strappo muscolare, una brutta caduta che causa una frattura, con tutto ciò che ne consegue, in termini di riabilitazione fisica e recupero psicologico della condizione. La corretta gestione del trauma è qualcosa di cui anche lo sportivo di medio livello dovrebbe sempre tener conto: che si tratti di un banale "stiramento" o di un piccolo trauma distorsivo, come spesso se ne vedono accadere in pedana a qualunque età e livello, è di fondamentale importanza una gestione attenta dei tempi di recupero, oltre che della cura del trauma stesso, per evitare recidive ed effetti sulla lunga durata. Per questo sarà sempre meglio concordare con l'allenatore, oltre che con il medico, la fase del rientro dopo l'infortunio, senza contare, per i casi più gravi, che sarà necessaria una attenta gestione psicologica dell'atleta al suo rientro. Una frattura o anche una semplice distorsione agiscono nell'ombra nel vissuto dell'atleta e possono modificare la sua percezione del gesto tecnico e la fiducia nei propri mezzi tecnico-fisici. La sensazione di "non fidarsi" della funzionalità della parte lesa si riscontra nella maggior parte degli sportivi, anche soltanto di medio e basso livello: meno attenzione infatti è data all'importanza della performance, maggiore sarà il rischio di trascurare gli effetti della lesione. Un atleta di alto livello, che punta al mantenimento costante della performance, gestisce la preparazione e l'infortunio con l'ausilio di uno staff medico dedicato e cura gli aspetti della ricostruzione psicologica post traumatica con il supporto di specialisti e psicologi; al contrario lo sportivo di livello medio tende a vivere il momento dell'infortunio come una parentesi forzata che interrompe temporaneamente la possibilità di allenarsi, come non vi fossero un prima o un dopo, ovvero senza porre la dovuta attenzione alle cause -se ve ne sono di condizionabili- che hanno portato all'infortunio e senza pianificare e gestire al meglio la fase del ritorno all'attività; molto spesso ciò induce a sottovalutare le conseguenze a lungo medio termine, conseguenze che possono tramutare un banale ma ricorrente dolore al gomito che ci induce per un breve periodo di tempo ad interrompere l'allenamento o a ridurne i carichi, in un'epicondilite la cui cura richiederà mesi di terapia specialistica e di riabilitazione. Vi è poi un particolare tipo di infortunio o trauma, quello di natura psico-attitudinale, i cui effetti sono del tutto simili, se trascurati, al reiterarsi di micro-fratture ossee o micro-strappi muscolari, ovvero l'incancrenirsi di una situazione di stress mal curato, in questo caso sul piano emotivo, che produrrà nel corso del tempo traumi ben più importanti:  una sconfitta, come anche una vittoria, il provare la spiacevole sensazione dell'insuccesso ed il dover fare ripetutamente i conti con la presa di coscienza che i risultati ancora non hanno ripagato lo sforzo profuso in allenamento, o addirittura che quello sforzo è stato inutile poiché l'allenamento difettava della corretta attitudine, costituiscono fattori traumatici quasi invisibili, tanto più è bassa la portata del risultato ambìto, quanto pericolosi nel creare una condizione di recidiva e demotivazione costante. Per questo occorre che non solo gli allenatori, ma tutto l'ambiente che circonda l'atleta, in primis l'ambiente familiare, sappia giocare un ruolo chiave nella corretta gestione delle conseguenze dell'"infortunio" sconfitta, proprio per prevenire il sedimentarsi ed il reiterarsi delle sensazioni spiacevoli ad essa collegate, che producono nell'atleta continue micro- lesioni sul piano emotivo, fino a causarne la definitiva "rottura". Un discorso a parte, ma molto simile nei presupposti, potrebbe essere condotto riguardo alla gestione della vittoria, anch'essa fattore "traumatico", al rialzo, nella sfera emotiva dell'atleta: l'ebrezza della vittoria e lo stress emotivo che questa ingenera può produrre lesioni altrettanto profonde di quelle legate alla sconfitta. Anche in questo caso l'ambiente familiare gioca un ruolo importante, specie per i piccoli atleti, che sono prima di tutto ragazzi e ragazze in crescita e formazione caratteriale: non si può vincere sempre, quindi occorre sapersi predisporre alla vittoria, preparandosi a volgere in chiave positiva anche le eventuali ripetute sconfitte, in uno stato di solidità e positività caratteriale che, laddove non sia innata, è comunque accrescibile grazie ad una corretta educazione al goal setting, ovvero rispetto dell'equilibrio tra obiettivi, aspettative e capacità tecniche del momento. E' molto importante, in questo, che i genitori, che già trasmettono in modo naturale ai propri figli le proprie ansie e paure, non ne aggiungano ex-novo di altre create apposta per loro, come invece spesso succede, se non si presta la dovuta attenzione all'importanza del valore educativo del fenomeno sportivo, ovvero della capacità di confrontarsi con se stessi e con gli altri.

di Alberto Bernacchi