I Trattati di Scherma, tra formazione e critica

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MasanielloPariseQuestione certamente interessante, quella che vede contrapposti i sostenitori ed i detrattori dei famigerati Trattati di Scherma, testi che, nella loro versione cui ci si riferisce comunemente oggi, risalgono al decennio 1960-’70; per taluni “libri sacri”, per altri ormai troppo antiquati per asservire agli scopi di formazione della classe magistrale, per i quali ancor oggi vengono usati. Editi dall’allora Scuola Centrale dello Sport del C.O.N.I, solo pochi anni fa reimpaginati con l’aggiunta di ulteriori note esplicative (in un’operazione per altro non priva di sommarietà) dall’odierna Scuola dello Sport, i testi costituiscono un terreno di discussione pressoché infinito tra chi li vorrebbe riscrivere secondo canoni più moderni e chi ne sostiene ancor oggi la validità. E va anche detto che, nella loro impalcatura, essi richiamano un trattato ancor più vecchio, quello del Masaniello Parise, datato 1884: libro scritto dietro concorso pubblico indetto dall’allora Ministero della Guerra, con lo scopo di formalizzare un sistema unico di insegnamento della Scherma nell’addestramento militare, che mettesse d’accordo la scuola del Nord di matrice Radaelliana e quella del Sud, fondata sulla scuola napoletana. Il Masaniello Parise, esponente proprio dell’Accademia di Scherma di Napoli, vincitore del concorso, diviene il direttore della nuova ed unificata Scuola Militare fondata in Roma ed il suo testo per l’addestramento alla Spada ed alla Sciabola diviene il testo guida dell’insegnamento della scherma.

Testo che ha permesso di apprendere la Scherma prima che questa fosse uno Sport, quando in gioco c’era ben più di un risultato agonistico, ovvero la sopravvivenza in uno scontro armato sul campo. Impossibile quindi confrontare la Scherma di allora con la scherma oggi tirata in pedana, ma ancor più impossibile stabilire con certezza, come alcuni vorrebbero, che i metodi didattici del tempo non fossero adeguati ad assicurare una prestazione.

Una contrapposizione, quella che oggigiorno forzatamente si vuole imporre tra antico e moderno, che non trova ragione di esistere. Lo Sport oggi è Scienza, sintesi di un complesso di materie ed approcci metodologici multidisciplinari, ma lo è anche la Logica. La logica è il contenitore nel quale, schermisticamente, si esprime la scienza del gesto. Il Trattato di scherma insegna ad interiorizzare la logica nella quale si compie il gesto pratico, iniziando dall’ elementarità della struttura del pensiero schermistico, senza spingersi alla ricerca della performance agonistica. I Trattati sono i testi “delle elementari”, per questo tuttora validi per ciò che sono, non certo per ciò che non sono né vogliono essere.

Sin dalla loro origine, infatti -vedi la prefazione di Nostini al trattato di Fioretto- non sono concepiti per insegnare la ricerca della performance. Voler dire che siano vetusti perché non corrispondono al modo di tirare di oggigiorno in pedana (o al moderno schermire, per chiosare il loro linguaggio) significa volerli giudicare per un’aspirazione che non apparteneva né ai testi né ai loro autori. Erano scritti per censire ed elencare la nomenclatura delle azioni ed i modelli esecutivi formali. Non trattano di dinamica del movimento, ma di postura e sua nomenclatura. Quando poi descrivono le azioni ed il loro complesso, lo fanno sempre da un punto di vista classificatorio. Non spiegano, per esempio, come procurarsi un controtempo, ma definiscono etiologicamente cosa costituisce “un controtempo“. Hanno la funzione di fondare un linguaggio concettuale comune, definendo la grammatica e la semantica del linguaggio schermistico italiano (profondamente diverso da quello francese adottato in tutto il resto del Mondo). Tutte le azioni che oggi si verificano in pedana sono sempre ascrivibili ad una di quelle categorie definite dai Trattati. Cambia la dinamica, col cambiare dei materiali, non il nome delle cose. Un fuetto, moderna espressione della cavazione angolata, sarà sempre azione semplice, o composta, o risposta o contrattacco e via dicendo.

C’è chi direbbe, per risolvere ogni questione, che la Scherma è Arte e Scienza al tempo stesso. In realtà la Scherma, da che esiste, prima ancora di essere Sport, è Scienza. E’ sufficiente guardarsi indietro, per scovare nella trattatistica del XVI secolo applicazioni pratico-scientifiche, ancora embrionali, ma certamente indice di una ricerca che non appartiene solo ai tempi moderni.

La struttura logica dell’azione schermistica, che è ciò cui pensa il Trattato, è conservata, contenitore immutevole della biomeccanica di un gesto tecnico che si evolve nella forma, senza tuttavia mutare le regole della sintassi. La lettura dei Trattati ed il loro studio costituiscono perciò ancor oggi una struttura di fondo importantissima per capire la Scherma intesa a livello concettuale, non esecutivo. Una forma mentis paragonabile a quella offerta allo studente del latino o del greco antico, o uscendo dall’ambito letterario, dallo studio delle derivate di secondo grado. Un’impalcatura che va ben oltre il saper fare e costituisce l’essenza del saper comprendere, e quindi del saper spiegare. Perciò ancora oggi sono testi imprescindibili per chi vuol diventare Maestro, oltre che per un fatto meramente culturale: conoscere il trattato significa saper coniugare un congiuntivo, ma soprattutto saper apprezzare la ricchezza del linguaggio, schermistico. Detto ciò, oggi come ieri, i Trattati non bastano. Per questo ci sono i Maestri, che con metodo scientifico applicano la ricerca della performance nel gesto tecnico, facendo del modello formale un modello scientifico sostanziale.

E resta, alla fine di ogni diatriba, una domanda senza risposta: si potrebbe oggi, scrivere un trattato pienamente moderno di Scherma, senza ricorrere al linguaggio ed alla logica impostata dai trattati storici? E si potrebbe mai scrivere, ai fini della formazione della classe magistrale, un testo che davvero contenga tutta quanta la Scherma moderna, come invece la contengono i vecchi Trattati? Una sfida sempre aperta, che ancora non ha un vincitore, neppure tra i detrattori dei testi tradizionali.

di Alberto Bernacchi