Estratto dall’articolo per NuovoSportGiovani.it – parte terza

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percorsoLa Scherma è un percorso relativamente facile da intraprendere, ma assai spesso molto difficile da portare a compimento e maturazione. Se non è l’estetica della vittoria agonistica l’obbiettivo finale, per il quale occorrerebbe introdurre un argomento di più ampio respiro quale l’identificazione del talento in ambito sportivo, è proprio la difficoltà ad accettare la maturazione ed i suoi tempi che costituisce la causa principale di abbandono e di insuccesso nel piccolo schermitore. Non da ultimo, in questo, gioca un ruolo determinante il contesto educativo familiare, che richiede genitori in grado di sostenere il bambino attraverso una paziente ricerca, esaltandone i progressi senza tuttavia sminuirne e tacerne gli insuccessi di percorso. La Scherma non è adatta per chi cerca risposte immediate, ma per chi sa porsi domande appropriate: essa è la miglior rappresentazione della capacità di sapersi collocare nel qui ed ora, vivendo appieno l’espressione di se stessi nel momento attuale, senza proiezioni future o passate. Una mente libera dal sogno del futuro o dalla memoria vincolante dei successi e degli insuccessi del passato, pienamente capace, cioè, di cogliere e consumare il tempo attuale, proprio e dell’avversario, è ciò che richiede la scherma, che si rinnova sempre diversa ad ogni istante. Si potrebbe dire una spiegazione quasi filosofica per una disciplina che, volendo spiegarla in termini più semplici, richiede per lo più una grande concretezza, nella scelta se agire o non agire e, soprattutto, nella valutazione del “quando agire” (timing). Il riappropriarsi di questo concetto interiore di scelta del tempo è ciò che rende estremamente potente lo strumento educativo della Scherma, ma anche estremamente difficile da cogliere nella sua completezza, se non dopo molti anni di pratica.

Studi specialistici ormai sempre più diffusi ed acclarati, su soggetti con disturbi dell’apprendimento DSA e del comportamento ADHD, evidenziano come la Scherma possa scaturire in risultati finanche terapeutici a livello disciplinare, di gestione dell’aggressività, di ordinamento del pensiero logico anche con riflessi ortologici, di costruzione e correzione di schemi motori incompleti e posturali errati, di crescita dell’autostima, miglioramento della capacità di attenzione, di interazione e socializzazione con gli altri, in relativamente pochi anni -o forse anche meno- di pratica; potrà tuttavia dirsi pienamente maturo lo schermitore che avrà saputo darsi tempo per un lungo percorso di crescita, che non può che iniziare da bambino per continuare nell’età adolescenziale, fino alla maturità giovanile ed oltre. Lungo questo percorso non sarà la difficoltà dell’apprendimento tecnico a rappresentare una discriminante, pur dandosi soggetti con diverse capacità, quanto la necessità di saper maturare l’unione tra schemi mentali dello schermitore e schemi mentali di azione nella vita quotidiana.

Nel variegato panorama delle possibilità mordi-e-fuggi che il mercato delle attività sportive ci offre oggi, dove va sempre più assottigliandosi la forbice tra lo sport- wellness del tenersi in salute contro i disagi di una vita sedentaria -maturando anche disordinatamente una molteplicità di esperienze di breve durata sin dalla tenera età- e lo sport agonistico propriamente detto, del confronto e della crescita, la pratica della Scherma rappresenta ancora una scelta completa in termini di valore e di valori. Compiuto il saluto all’inizio dell’incontro, doveroso rito di cortesia, con la lealtà ed il rispetto che si devono all’avversario ed al combattere ad armi pari, una volta calata la maschera sul volto, ciascuno è uguale in pedana e può essere diverso al tempo stesso, proiettato in una realtà nella quale scoprire ciò che siamo è un fatto di sensibilità interiore che ci conduce oltre agli   aspetti   estetici   del   gesto   tecnico. Una sorta di slow-food sportivo, da consumarsi con pieno gusto da parte di chi intende lo sport come un investimento per il futuro; e di chi, al termine dell’incontro o della lezione, sa porgere la mano e dire grazie al suo avversario, perché gli ha offerto un’occasione sempre nuova ed irripetibile per mettere in discussione se stesso.

 

di Alberto Bernacchi